20 settembre: gli Indiani contro i selvaggi brecciaioli
Comunicato n. 64/19 del 19 settembre 2019, San Gennaro
20 settembre: gli Indiani contro i selvaggi brecciaioli
Lo scambio di lettere tra i Pellerossa e Pio IX
Gli Schitsu’umsh sono un’etnia di nativi americani del nord-ovest (quindi una cultura molto diversa rispetto a quelle delle grandi pianure, stereotipo del “pellerossa”), il cui territorio tradizionale si estendeva dal nord-ovest del Montana, al nord-est dello stato di Washington, occupando, prevalentemente, l’Idaho settentrionale. La loro lingua era un ceppo “salish” dell’interno (gli idiomi “salish” erano diffusi presso diverse etnie del nord-ovest, dal cosiddetto “plateau” alla costa pacifica).
Gli esploratori, cacciatori e contrabbandieri di origine francese li chiamarono “Coeur d’Alene”, ovvero “Cuore di lesina” (attrezzo appuntito usato da calzolai e altri artigiani per bucare il cuoio), metafora legata alla loro abilità nel trattare gli affari e gli scambi.
Raggiunti dai missionari belgi nella prima metà dell’800, non solo si convertirono facilmente al Cattolicesimo, ma si distinsero anche per una devozione particolarmente sentita e un forte senso di appartenenza alla Chiesa.
Nel 1871, venuti a sapere della difficile situazione in cui allora si trovava il Papa in seguito alle vicende risorgimentali e, in particolare, a causa dell’occupazione di Roma da parte del governo italiano, gli Schitsu’umsh vollero inviare a Pio IX una lettera davvero toccante, con la quale desideravano testimoniare il loro filiale affetto ed assicurare la loro piena disponibilità anche nel caso della necessità di un intervento armato.
Tale missiva, in cui i missionari gesuiti sono indicati con l’espressione “Sai Neri” (mentre le suore sono dette “madri gentili”), venne scritta a nome dell’intera tribù, ma riportava le firme di Vincent Stellam e Andrew Emote. All’inizio è nominato il belga Pierre Jean De Smet (Dendermonde, 30 gennaio 1801 – St. Louis, 23 maggio 1873) padre gesuita e missionario.
Riportiamo il testo, che sorprende per i toni umili, affettuosi e a tratti ingenui (nella migliore delle accezioni), che avrebbero molto da insegnarci, e, di seguito, la risposta di Pio IX.
Lettera della tribù Coeur d’Alene al Papa Pio IX (1871)
Clementissimo Padre,
non è temerarietà, ma amore, quello che ci spinge a scriverVi.
Noi siamo, è vero, la più infima di tutte le tribù indiane, mentre Voi siete il più grande fra gli uomini viventi. Ma Voi siete stato il primo ad aver gettato uno sguardo di compassione su di noi.
Sì, Padre Santo, ancora trenta inverni fa noi eravamo un popolo selvaggio, miserabile sia nell’anima che nel corpo, fino a che Voi non ci mandaste il grande “Saio Nero”, Padre De Smet, che, grazie al Battesimo, ci fece diventare figli di Dio.
Noi eravamo ciechi e Voi lo mandaste ad aprirci gli occhi.
Molti di noi brancolavano ancora nelle tenebre, quando Padre De Smet partì da noi; allora Voi mandaste un altro Saio Nero, il nostro buon Padre Nicholas Point, che venne quaggiù, visse insieme a noi e ci destò, guidandoci sul sentiero che conduce al Paradiso. E quanti altri Padri non ci avete dato per insegnare a noi e ai nostri figli la legge di Dio e per renderci cristiani migliori?
Perciò, Padre Santo, avendo sentito che Voi vi trovate ora nell’afflizione, vogliamo ringraziarVi della Vostra carità ed esprimerVi il nostro grande amore e il nostro intenso dolore nell’apprendere che alcuni Vostri malvagi figli seguitano a causarVi sofferenze, dopo averVi privato della Vostra stessa casa.
Sebbene siamo soltanto dei poveri indiani, ignari delle politezze della vita, consideriamo però questo comportamento come un crimine. Solo cinquanta anni fa eravamo ancora dei selvaggi, ma mai avremmo osato comportarci così, sapendo che la dignità e l’autorità del Papa provengono da Cristo. Per questa ragione non abbiamo mancato di pregare e seguiteremo a pregare per Voi, Padre Santo, e per l’intera Chiesa, con tutto l’ardore di cui dei poveri indiani sono capaci.
Di più: convenuti dai nostri diversi accampamenti nella chiesa della Missione, per nove giorni abbiamo recitato molte preghiere e praticato atti di virtù che abbiamo offerto per Voi al Sacro Cuore di Gesù. Questa mattina abbiamo conteggiato le nostre pratiche e devozioni e trovato che esse assommavano al numero di 120.527.
Stimandolo insufficiente, abbiamo offerto i nostri stessi cuori per il nostro eccellentissimo Padre, il Papa, nella certa fiducia che questa nostra offerta non sarà rigettata.
Disponiamo anche di un certo numero di soldati, non addestrati per la guerra, ma per mantenere l’ordine nei nostri accampamenti. Se questi uomini possono essere di aiuto al servizio del Papa, noi li offriamo con gioia ed essi si stimeranno fortunati di poter versare il loro sangue e di offrire le proprie vite per il nostro buon Padre, Pio IX.
E ora, possiamo parteciparVi i nostri timori e i nostri dubbi? I venditori di whisky si approssimano ogni giorno. Noi temiamo di tradire il nostro Salvatore e di ritrarre i cuori che Gli avevamo donato. Aiutateci e rafforzate la nostra volontà con le Vostre preghiere. Ma i nostri cari figli sono ancora più da compatire, perché essi sono maggiormente esposti al pericolo. Non tanto i nostri figli maschi, che hanno autentici padri nei “Sai Neri”, quanto le nostre figlie, che non hanno finora “madri gentili” [le suore] che si prendano cura di loro. Noi abbiamo chiesto spesso “Sai Neri” del loro stesso sesso [cioè delle religiose], ma le nostre voci sono troppo flebili per essere udite e siamo troppo poveri per poter fare di più, oltre che chiedere.
Questi sono i sentimenti che scaturiscono dai nostri cuori; ma siccome noi, poveri indiani, siamo soliti attribuire poco valore all’espressione di sentimenti, se questi non sono accompagnati anche da doni materiali, ecco che abbiamo raccolto dollari e piccole monete di cui farVi dono, onde esibirVi, quale misura della nostra sincerità, un frammento della nostra stessa carne. Nonostante la nostra povertà, e con grande nostra stessa sorpresa, abbiamo potuto raccogliere 110 dollari.
E ora, Padre Santo, permetteteci ancora una volta di aprirVi i nostri cuori. Oh, quanto saremmo felici, malgrado la nostra indegnità, di poter ricevere una parola dalle Vostre labbra! Una parola che aiuterà noi, le nostre spose e i nostri figli a trovare accesso al Sacro Cuore di Gesù!
La risposta del Sommo Pontefice
Diletti figli, a voi salute e l’Apostolica Benedizione!
I devoti sentimenti che Ci avete manifestato nella semplicità dei vostri cuori, sono stati per Noi causa di grande gioia. Il vostro dolore circa gli attacchi portati contro la Chiesa, così come la vostra devozione e il vostro affetto filiale per la Santa Sede, sono una dimostrazione eclatante della Fede e della carità che ricolmano i vostri cuori, che vi legano saldamente al centro di unità, il Papato.
Per questa ragione crediamo con certezza che le vostre preghiere e suppliche, innalzate incessantemente a Dio, saranno efficaci per Noi e per la Chiesa e accogliamo con sentimenti di profonda gratitudine l’offerta della vostra generosa carità.
La mano di Dio protegge coloro che Lo cercano sinceramente e Noi crediamo che le vostre buone parole vi otterranno la grazia di resistere ai pericoli di corruzione che vi minacciano e l’aiuto spirituale che voi desiderate per le vostre figlie.
Noi chiediamo a Dio di completare in voi l’opera della grazia e di colmarvi delle Sue più scelte benedizioni.
In pegno di questo, e quale segno della Nostra gratitudine e paterna benevolenza, Noi impartiamo a voi di cuore l’Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 31 luglio 1871, nel vigesimo sesto anno del Nostro Pontificato.