Lepanto: San Pio V salva la Cristianità
Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 79/17 del 6 ottobre 2017, San Bruno
Lepanto: San Pio V salva la Cristianità
Domani è l’anniversario della battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571): ricordiamo questa pagina gloriosa della Cristianità con una scheda sulla battaglia.
Lepanto: la Lega Santa contro i Turchi
I Turchi avevano vinto:
– nel 1389 nel Kossovo contro i serbi;
– nel 1396 a Nicopoli contro i crociati guidati dal re d’Ungheria;
– nel 1414 a Negroponte contro i veneziani;
– nel 1417 a Valona;
– nel 1418 a Girocastro;
– nel 1430 a Salonicco contro i veneziani;
– nel 1453 a Costantinopoli mettendo fine all’Impero Bizantino;
– nel 1462 a Lesbo contro i genovesi;
– nel 1463 contro i greci dell’Impero di Trebisonda;
– nel 1463 contro i bosniaci a Jace;
– nel 1480 a Otranto contro gli italiani;
– nel 1521 a Belgrado contro gli ungheresi;
– nel 1522 a Rodi contro i Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme;
– nel 1527 a Mohacs contro gli ungheresi;
– nel 1571 a Cipro contro i veneziani.
Nel 1529 avevano assediato gli austriaci a Vienna.
Nella seconda metà del secolo XVI i Turchi dominavano la Grecia, l’Albania, la Serbia, la Bosnia, l’Ungheria, la Transilvania, la Moldavia e la Valacchia.
La vittoria della Lega Santa a Lepanto fu un evento d’importanza simile alla battaglia di Poitiers. Nel 732 vennero fermati gli Arabi, nel 1571 vennero fermati i Turchi. Ancora una volta la spada dell’Islam era stata spezzata dall’Occidente (cristiano, ndr).
La Lega Santa
Il 20 maggio 1571 venne firmata la Lega Santa contro i Turchi. Vi aderirono il regno di Spagna, la repubblica di Venezia, lo Stato Pontificio, le repubbliche di Genova e di Lucca, i Cavalieri di Malta, i Farnese di Parma, i Gonzaga di Mantova, gli Estensi di Ferrara, i Della Rovere di Urbino, il duca di Savoia, il granduca di Toscana.
Le spese erano divise in sei parti: tre erano a carico della Spagna, due di Venezia e una del papa.
La Lega era stata fermamente voluta da Pio V, Michele Ghislieri, nato ad Alessandria nel 1504, povero pastore di pecore, frate domenicano, inquisitore. Divenuto papa nel 1566 riformò rigorosamente la Curia e la città di Roma. Combatté l’eresia protestante in tutta Europa.
La flotta cristiana
Il comando militare della flotta venne affidato a Giovanni d’Austria, figlio naturale di Carlo V e fratellastro del re di Spagna Filippo II.
Suoi luogotenenti furono:
– Marcantonio Colonna, comandante della flotta pontificia.
– Sebastiano Venier, comandante della flotta veneziana.
I preparativi si protrassero a lungo e la flotta si poté riunire a Messina solo il 24 agosto.
La flotta era costituita da:
– 104 galee sottili sotto il comando della Repubblica di Venezia; 54 erano con equipaggi provenienti da Venezia, 30 da Creta, 7 dalle Isole Ionie, 8 dalla Dalmazia, 5 da città di terraferma.
– 6 galeazze sotto il comando della Repubblica di Venezia. Le galeazze erano munite di 40 o più cannoni, in grado di sparare palle da 13 chilogrammi in coperta e da 23 chilogrammi da sottocoperta. Si trattava di vere e proprie fortezze galleggianti.
– 36 galee sotto il comando del re di Spagna con equipaggi di Napoli e Sicilia.
– 22 galee sotto il comando del re di Spagna con equipaggi di Genova; si trattava di navi prese a nolo dal finanziere Gian Andrea Doria.
– 12 galee mandate da Cosimo I dei Medici, armate ed equipaggiate dai Cavalieri dell’ordine pisano di Santo Stefano
– 12 galee dello Stato Pontificio, concesse dai veneziani ed armate ed equipaggiate a spese del papa.
– 3 galee del duca di Savoia (la Piemontese, la Margarita e la Duchessa).
– 3 galee dei Cavalieri di Malta.
In totale 195 tra galee e galeazze.
Gli equipaggi erano scarsi e costituiti essenzialmente da cristiani volontari e forzati. La penuria costrinse a mettere solo 3 uomini per remo.
La truppa era costituita da:
– 20.000 soldati a spese della Spagna;
– 5.000 militari al soldo di Venezia;
– 2.000 soldati pagati dallo Stato Pontificio;
– 3.000 volontari provenienti da tutta la Cristianità.
Complessivamente circa 30.000 uomini.
Sulle galee e sulle galeazze vennero imbarcati 1815 cannoni.
Le galee veneziane erano in buono stato, ma con pochi soldati. Don Giovanni d’Austria vi fece imbarcare 4.000 soldati italiani e spagnoli.
La flotta cristiana salpò il 16 settembre dirigendosi verso Corfù. Le navi esploratrici confermarono che la flotta turca era nei pressi del golfo di Lepanto.
La flotta turca minaccia l’Italia
I Turchi fin da febbraio avevano allestito una flotta di 250 galee e 100 navi da rifornimento e supporto.
I costruttori delle galee erano abili carpentieri rinnegati, che il Sultano ricompensava molto bene. Molti dei capitani delle navi erano anch’essi greci o veneziani rinnegati. Gli equipaggi non avevano grande esperienza. I rematori erano cristiani catturati e ridotti in schiavitù.
Il comandante della flotta era Mehemet Alì Pascià.
Parte della flotta andò a sostenere l’assedio di Famagosta a Cipro.
Un’altra parte della flotta si diresse verso Creta. 3.000 contadini cretesi furono uccisi. Ma l’ammiraglio veneziano Marcantonio Querini riuscì a respingere l’attacco e i Turchi si dovettero allontanare.
Veleggiarono verso Zante (odierna Zakynthos) e Cefalonia (odierna Kefallenia), dove catturarono 7.000 cristiani e li misero a remare sulle loro galee.
Poi le galee turche si diressero verso l’Adriatico.
I Turchi si impadronirono di Durazzo (odierna Durres), Valona (odierna Vlore), Dulcigno (odierna Ulcinj), Antivari (odierna Bar), Lesina (odierna isola di Hvar), attaccarono Curzola (odierna isola di Korcula).
Intanto le 80 galee del corsaro Uluj Alì attaccarono Zara e altre città della Dalmazia. Uluj Alì, chiamato anche Occhiali, era un pescatore calabrese rinnegato, divenuto dey di Algeri.
Kara Hodja, un altro corsaro devastò il golfo di Venezia. Il rombo del cannone si udiva da piazza S. Marco.
Anche Corfù, ad eccezione del castello, venne conquistata dai musulmani.
A giugno il sultano Selim II, detto “L’ubriacone”, ordinò che la flotta si fermasse a Lepanto (odierna Naupaktos; bizantina Epachthos) in una piccola baia tra il golfo di Corinto e quello di Patrasso. Arrivarono i rinforzi da Negroponte (odierna isola Eubea): 2.000 spahis e 10.000 giannizzeri.
La flotta divenne una minaccia permanente. Da Lepanto la flotta turca avrebbe potuto attaccare la costa italiana in qualsiasi momento.
Prima della battaglia
Il 5 ottobre la flotta cristiana si fermò nel porto di Viscando, non lontano dal luogo della battaglia di Azio. C’era nebbia e un forte vento. Le galee non potevano prendere il mare.
Un brigantino portò la notizia della caduta di Famagosta (in turco Famagusta; in greco Ammocosthos) e dell’orribile fine inflitta dai musulmani a Marcantonio Bragadin, il senatore veneziano comandante la fortezza.
Il 1° agosto i veneziani si erano arresi con l’assicurazione di poter lasciare l’isola di Cipro. Mustafà Lala Pascià, il comandante turco che aveva perso più di 52.000 uomini nell’assedio, non mantenne la parola. I soldati veneziani furono imprigionati e incatenati ai banchi delle galee turche.
Venerdì 17 agosto Bragadin venne scorticato vivo di fronte ad una folla di musulmani esultanti. La pelle di Bragadin venne riempita di paglia. Il manichino fu innalzato sulla galea di Mustafà Lala Pascià insieme alle teste di Alvise Martinengo e Gianantonio Querini. I macrabri trofei furono poi inviati a Costantinopoli, esposti nelle strade della capitale ottomana ed infine portati nella prigione degli schiavi.
Il comportamento dei musulmani accrebbe la voglia di combattere dei cristiani.
I soldati della Lega Santa sapevano che la battaglia era decisiva per la Cristianità. In caso di sconfitta le coste di Italia e Spagna sarebbero rimaste esposte agli attacchi dei musulmani. L’Islam era pronto a colpire il cuore dell’Occidente. Roma era in pericolo.
Lo schieramento della flotta cristiana
Domenica 7 ottobre Giovanni d’Austria fece schierare le proprie navi in formazione serrata. Non più di 150 metri separavano le galee.
Venne costituita una formazione a croce.
Al centro si pose Giovanni d’Austria con 64 galee. La sua nave ammiraglia era la Real. A fianco si pose l’ammiraglia del comandante veneziano Sebastiano Venier, una cui nipote era stata ridotta in schiavitù nell’harem di Costantinopoli. Sull’ammiraglia pontificia era Marcantonio Colonna. Sull’ammiraglia di Savoia il conte Provana di Leynì. Sull’ammiraglia di Genova Ettore Spinola. Due galeazze furono poste davanti al centro della flotta.
L’ala sinistra venne affidata principalmente ai veneziani sotto il comando di Agostino Barbarigo. Al lato più estremo, più esposto ai tentativi di aggiramento, si pose Marcantonio Querini. Davanti alle galee veneziane furono inviate due galeazze al comando di Antonio e Ambrogio Bragadin, parenti del senatore scorticato vivo.
All’ala destra si schierarono galee e combattenti di diverse nazionalità, sotto il comando del genovese Gian Andrea Doria. Erano presenti anche molti volontari tra cui l’italiano Alessandro Farnese, il francese Crillon, l’inglese Sir Thomas Stukeley, l’esiliato Giacomo IV, duca di Naxos. Due galeazze veneziane furono poste davanti al settore sinistro.
La retroguardia venne posta sotto il comando di Santa Cruz con tre galee dei Cavalieri di Malta.
Lo schieramento dei Turchi
I Turchi si disposero a mezzaluna.
Vennero schierate 274 navi da guerra, di cui 215 galee.
I musulmani avevano 750 cannoni.
Il centro turco, al comando diretto di Mehmet Alì Pascià, era costituito da 96 galee. Di fronte ai veneziani era Muhammad Saulak, detto anche Maometto Scirocco, governatore dell’Egitto, con 56 galee.
Uluj Alì, il rinnegato Occhiali, con 63 galee e galeotte, era di fronte a Gian Andrea Doria, che a Tripoli era dovuto fuggire di fronte al corsaro.
Una forte riserva, comandata da Amurat Dragut, era dietro la linea delle galee turche.
Mehmet Alì Pascià era a bordo della Sultana, su cui sventolava il vessillo verde su cui era stato scritto 28.900 volte a caratteri d’oro il nome di Allah.
La battaglia
La flotta cristiana bloccò l’ingresso del golfo di Lepanto. I musulmani, obbedendo all’ordine impartito dal sultano Selim II, accettarono la battaglia.
Con un rumore assordante iniziarono l’avvicinamento suonando timpani, tamburi, flauti. Il vento era a loro favore.
La flotta cristiana era nel più assoluto silenzio.
Quando le flotte giunsero a tiro di cannone i cristiani ammainarono tutte le loro bandiere e Giovanni innalzò lo stendardo con l’immagine del Redentore crocifisso. Una croce venne levata su ogni galea e i combattenti ricevettero l’assoluzione secondo l’indulgenza concessa da Pio V per la crociata.
Il vento improvvisamente cambiò direzione. Le vele dei Turchi si afflosciarono e quelle dei cristiani si gonfiarono.
Giovanni d’Austria puntò diritto contro la Sultana. Il reggimento di Sardegna diede l’arrembaggio alla nave turca che divenne il campo di battaglia. I musulmani a poppa e i cristiani a prua. Al terzo assalto i sardi arrivarono a poppa. Giovanni venne ferito ad una gamba. Mehmet Alì Pascià venne ucciso da un colpo di archibugio.La Sultana si arrese. Alle due del pomeriggio Giovanni poté riprendere il controllo della flotta.
Muhammad Saulak era riuscito ad aggirare il fianco sinistro. Agostino Barbarigo fu attaccato da otto galee turche contemporaneamente. Barbarigo, ferito ad un occhio da una freccia, dovette cedere il comando a Federico Nani. Sei galee veneziane furono affondate. Muhammad Saulak stava per prevalere. Ma improvvisamente i rematori cristiani si sollevarono dai banchi di schiavitù e con le catene si gettarono sulle scimitarre dei loro aguzzini. I veneziani ripresero il sopravvento. Muhammad Saulak venne ucciso.
All’ala destra Uluj Alì e Gian Andrea Doria manovravano per trovarsi in posizione di vantaggio. Alessandro Farnese con i suoi 200 uomini conquistò una galea turca. Diego di Urbino, comandante della Marquesa, ordinò a Miguel Cervantes di aggirare una galea con una scialuppa. Cervantes fu ferito due volte, al petto e alla mano.
Sia il Doria che Uluj Alì, prima della battaglia, avevano tentato di dissuadere i loro comandanti dal dare battaglia. Nessuno dei due voleva mettere a rischio le proprie navi. Uluj Alì manovrò per aggirare l’ala destra dello schieramento. Doria spostò le sue galee verso destra per fermare i Turchi, lasciando aperto un varco tra il centro e l’ala destra. Giovanni ordinò al Doria di ricompattare lo schieramento, ma Uluj Alì fu veloce a infilarsi nel varco improvvisamente apertosi con le sue galee corsare.
Uluj Alì, con il vento in poppa, aggredì da dietro la Capitana, la nave ammiraglia dei Cavalieri di Malta, al cui comando era Pietro Giustiniani, priore dell’Ordine. La Capitana venne circondata da sette galee. Uluj Alì catturò il vessillo dei Cavalieri di Malta, fece prigioniero Giustiniani, che era stato ferito sette volte, e prese a rimorchio la Capitana.
L’ammiraglio Santa Cruz intervenne con la retroguardia. Il capitano Ojeda, al comando della galea Guzmana, raggiunse la Capitana, l’abbordò e la riconquistò. Uluj Alì fu costretto ad abbandonare la preda. Con una quindicina di galee e di galeotte fuggì, si nascose nelle isole dei dintorni, si impadronì di una lenta galea veneziana, la Bua, e si diresse verso Costantinopoli.
Alle 4 del pomeriggio i Turchi erano stati completamente sconfitti. I pochi superstiti si ritirarono verso l’interno del golfo.
Le perdite dei Turchi
80 galee turche furono affondate. 117 furono catturate. 27 galeotte furono affondate e 13 catturate.
I Turchi persero 30.000 uomini tra morti e feriti. Altri 8.000 furono fatti prigionieri.
Vennero liberati 15.000 cristiani che erano stati ridotti in schiavitù e incatenati ai banchi delle galee.
Le perdite della Lega Santa
I cristiani persero 15 galee, ebbero 7.650 morti e 7.780 feriti.
S. Maria delle Vittorie sull’Islam
Pio V stabilì che il 7 ottobre fosse un giorno festivo consacrato a S. Maria delle Vittorie sull’Islam.
Gregorio XIII trasferì la festa alla prima domenica del mese di ottobre con il nome di Madonna del Rosario.
Pio V venne proclamato santo da Clemente XI il 22 maggio del 1712.
(Fonte: http://xoomer.virgilio.it/nnikef/livello2/lepanto.htm)